Turi, il tradizionale Trònere: quel fagottino di carne e cipolla tanto gustoso quanto "rumoroso"
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mercoledì 5 marzo 2025
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di Caterina Palumbo
Il piatto ha origine negli anni 40 ed è da allora un “must” dei pranzi domenicali. Nel settembre scorso si è anche costituita un’associazione composta da macellai, ristoratori e gastronomi la quale è riuscita, nel gennaio di quest’anno, a ottenere l’inserimento della pietanza nell’elenco Pat (Prodotto agroalimentare tradizionale) istituito dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali.
Ma come si prepara il Trònere? Alla base c’è l’utilizzo della spalla di manzo, la quale viene farcita con ventresca fresca (o pancetta coppata), provolone e aglio. Le fette di carne vengono così arrotolate intorno alla farcia e chiuse senza l’ausilio di stecchini. È questa una delle differenze con la brasciola barese, oltre al fatto che gli involtini turesi pesano molto di più (mediamente 300 grammi) e soprattutto non vengono cotti nel sugo di pomodoro ma adagiati e ricoperti da abbondante cipolla bianca tagliata a fette sottili.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Al tutto va poi aggiunto olio extra vergine di oliva, pomodorini e qualche foglia d’alloro. A quel punto si va a infornare per circa sei ore all’interno del tipico tegame in terracotta (in dialetto tiano). Il risultato sarà una carne tenera e gustosa avvolta da una crema di cipolla corposa e aromatica.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
L’interessante storia dei trònere ce la spiega Stefano De Carolis, esperto di tradizioni locali e presidente dell’associazione “Trònere di Turi”.
«Leggenda vuole che alla fine degli anni 40 Felice Cirillo e sua moglie Laura Panzone ereditarono dalla zia Laura Martinelli, cantiniera turese, un’antica osteria posta in via Chiesa – racconta il ricercatore –. Un locale che divenne di lì al poco la rinomata “Cantina da Felicetto”, il cui piatto forte era un succulento involtino di carne del peso di 100 grammi cotto in tegami di terracotta ed immerso nel sugo di pomodoro, molto simile alla brasciola barese. Un giorno però Felicetto apportò delle varianti alla pietanza. Rese il manicaretto molto più grosso (250/300 grammi) e soprattutto cominciò a cuocerlo senza passata di pomodoro e con abbondante cipolla. Nacque così il trònere».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il piatto ebbe un immediato successo e pian piano iniziò a essere anche preparato in casa, divenendo il protagonista indiscusso delle domeniche turesi. Una tradizione che si rinnova ancora oggi. Perchè sì, è meglio mangiarlo nei giorni di festa, visto che si tratta di una pietanza ricca, sostanziosa e tanto “rumorosa”.
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